Avete mai avuto un idolo quando eravate adolescenti? Avreste fatto tutto per seguirlo e per imitarlo, perché lui per voi era un essere divino, altissimo ed onnipotente.

Succede a tutti gli adolescenti, che nella loro lotta per l’evoluzione costellata da continue ribellioni, cercano, come Odisseo faceva con la sua Itaca, un modello da imitare.

E quindi si sentono “vicini” a quel personaggio e ritrovano in esso quasi una “guida”; chiunque utilizza i social ha la tendenza a scegliere il proprio punto di riferimento, un “modello”.

In realtà non è solo un’esigenza adolescenziale, infatti, anche in età adulta cerchiamo sempre un punto di riferimento, un esperto, che ci aiuti ad orientarci nelle scelte, magari quando dobbiamo acquistare qualcosa, oppure per aiutarci ad eseguire un compito, magari quando dobbiamo cucinare una ricetta nuova.

Quindi l’influencer, affinchè sia un modello positivo da seguire, dovrebbe essere dotato di competenze, autorevolezza, capacità di coinvolgimento e persuasione. Anche perché, come dimostra la Teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, non si impara solo in base al meccanismo del premio e della punizione, ma anche per via dell’apprendimento vicario o osservativo.

Perciò, se troppe volte ci siamo chiesti cosa stiano facendo i nostri ragazzi sempre “appiccicati a quel telefono”, la risposta è: stanno cercando un modello. E molto spesso il modello che ricercano si basa sull’autorevolezza e non sull’autoritarismo, sulla capacità di coinvolgimento e sulla persuasione, non imponendo le proprie scelte senza motivarle coerentemente, ma rispettando l’individualità che si ha davanti.

Più essi sentono questa ricarica nella vita reale, meno sarà prepotente l’esigenza di ricercarla altrove

Molti genitori sembrano voler sempre un manuale, da consultare per procedere alla crescita dei figli, perché questa generazione sembra davvero “strana” e la tecnologia li ha plasmati a tal punto da desiderare di mandarli in assistenza per i loro bug ed i loro down quotidiani, ma, proprio perché spesso, anziché sbattere la porta, come ai vecchi tempi, sbattono i loro occhi sul display, per catapultarsi nei loro amati social, dovremmo comprendere come essi rappresentino un modo per comprendere cosa succede all’interno di questo mondo virtuale, così lontano dagli stereotipi di un tempo e spesso troppo vicino ad un mondo privo di valori.

Tuttavia, però, niente merita di essere effettivamente demonizzato, nemmeno i social, perché tutto dipende dalla nostra capacità di piegare gli strumenti alle nostre esigenze e dalla volontà di restare umani. È tutta una questione di “funambolismo”, insomma, nonostante sia difficile e precario mantenersi in equilibrio in questo mondo genitoriale…

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dott. Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta